I compro oro come utilizzano l’oro usato?

Compro oro RomaDopo la grande crisi finanziaria del 2008, il prezzo dell’oro sul mercato ha subito un grande rialzo: essendo considerato un bene rifugio, è stato comprato in grande quantità nella fase di turbolenza dei mercati azionari e questo ha fatto sì che il suo prezzo arrivasse a dei livelli record. In soli cinque anni il suo prezzo è passato da 16 a oltre 43 euro al grammo. Nonostante poi si sia assistito ad un ribassamento dei prezzi e successivamente ad un periodo di assestamento, l’oro continua comunque ad essere considerato il bene rifugio preferito dai risparmiatori. Fin dall’antichità, è sempre stato usato sia come metallo per costruire oggetti preziosi, che come moneta di scambio ed anche oggi continua nella sua doppia identità: sono tante le persone che nei periodi di crisi si vedono negare dalle banche anche piccoli prestiti, perchè non in possesso di alcuna garanzia. L’unico mezzo per entrare in possesso di denaro liquido rimane quello di disfarsi dei gioielli di famiglia: ecco quindi che entrano in gioco i compro oro. 

Come viene utilizzato l’oro usato dai compro oro

Nella maggior parte dei casi gli oggetti che vengono portati ai cambio oro per ricavarne denaro liquido sono gioielli danneggiati o non più utilizzabili, come per esempio orecchini spaiati e vi sono anche protesi dentarie: si tratta quindi di oggetti non facilmente rivendibili che vengono chiamati rottami d’oro. Diventa obbligatorio quindi fondere i gioielli ed i rottami per recuperare l’oro puro e poi successivamente creare nuovi oggetti. I banco metalli sono gli unici che possono fondere l’oro usato, in base alla “direttiva 98/80/CE del Consiglio del 12.10.1998 emanata con Legge 17 gennaio 2000, n. 7 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2000″. I compro oro sono in possesso di una licenza specifica rilasciata dalle autorità competenti che permette loro di rivendere l’oro usato alle fonderie: queste infatti non possono assolutamente comprare l’oro usato dai privati cittadini, per evitare il possibile riciclaggio di refurtiva. Prima di portare l’oro usato in fonderia, l’operatore del cambio oro fa un’analisi degli oggetti acquistati, per vedere se si possono recuperare pietre preziose o quant’altro, altrimenti andrà tutto a finire negli scarti della fusione. 

Quali sono i procedimenti per recuperare l’oro puro dai gioielli usati o dai rottami

Facciamo a questo punto una doverosa precisazione: l’oro che si usa per creare oggetti preziosi non è più puro perchè per essere lavorato ha bisogno di essere amalgamato ad altri metalli. Attraverso la fusione ed ai procedimenti successivi è possibile ricavare l’oro puro. Il grado di purezza dell’oro si misura in carati, su una scala di 24/24: il carato quantifica la misura di oro presente nel prodotto finito, quindi se si trova la dicitura 18 carati, significa che l’oggetto è composto da da 18 parti d’oro puro su 24. Normalmente in Italia si trovano oggetti preziosi d’oro a 18 carati, in Francia, Germania ed Inghilterra oro a 14 carati, nei paesi arabi oro a 22 carati, mentre nei paesi più poveri oro a 9 carati. Il punto di fusione dell’oro, ovvero la temperatura necessaria affinchè il metallo diventi liquido, è di 1064 gradi centigradi. I forni più impiegati per la fusione dell’oro usato sono quelli che per la combustione utilizzano una miscela di acetilene ed ossigeno. I procedimenti per ottenere l’oro puro da quello usato o dai rottami sono vari, si comincia dalla fusione: il metallo da fondere viene messo in appositi crogioli, ovvero specifici contenitori a forma tronco-conica in grado di resistere alle altissime temperature del forno. Normalmente vengono usati crogioli di grafite, materiale estremamente refrattario: la loro capacità dipende solitamente dalle dimensioni del forno. Le pareti dei crogioli, prima di essere riempiti degli oggetti d’oro che verranno fusi, vengono unte con dell’olio di lino, per facilitare il successivo scorrimento del metallo fuso. Nel crogiolo assieme all’oro da fondere vengono aggiunte quantità minime di borace e salnitro: il borace si aggiunge per facilitare la fusione ed anche per proteggere l’oro dall’ossidazione, tramite la formazione di una pellicola, mentre il salnitro viene aggiunto per ultimo per rendere il prodotto finale ancora più liquido. Dopo che il forno ha raggiunto la temperatura di fusione, il crogiolo viene estratto e l’oro fuso viene colato nelle staffe, generalmente fatte di ghisa o grafite, anche queste precedentemente unte con dell’olio di lino, per facilitare il distacco del metallo, una volta che si è solidificato. La colata deve essere fatta molto velocemente per evitare che il metallo fuso si solidifichi a strati. Il successivo procedimento è l’affinazione: questo procedimento serve a separare l’oro puro dai vari metalli di lavorazione. La barra di metallo ottenuta viene sottoposta di nuovo a fusione in crogiolo, successivamente viene colata in una vasca piena d’acqua dove il metallo si solidifica sotto forma di scaglie. Le scaglie vengono successivamente messe in un serbatoio e disciolte con una miscela composta di acido cloridrico ed acido nitrico in rapporto 3 a 1, prima a freddo e di seguito ad alte temperature: l’intero procedimento dura all’incirca tre ore. Dopo il raffreddamento il liquido è sottoposto a filtraggio sotto vuoto, successivamente viene versato in un serbatoio nel quale, sotto l’aspirazione di una cappa, si effettua la precipitazione dell’oro per mezzo dell’aggiunta di bisolfito. L’aspirazione si rende necessaria per eliminare l’anidride solforosa che si sviluppa durante il procedimento. Assieme all’oro precipita anche del liquido che viene filtrato sotto vuoto: a questo punto rimane solo l’oro puro che viene di nuovo fuso e colato e che poi viene mandato in un laboratorio analisi per verificarne la titolazione, cioè la purezza. 

Tecniche di fusione per ottenere lingotti, gettoni e gioielli

Prima di parlare degli esami che vengono effettuati per verificare il grado di purezza dell’oro ottenuto, vediamo le diverse tecniche di fusione: per ottenere lingotti o gettoni d’oro, la tecnica più usata è quella della cera persa. Di tratta di un procedimento molto antico, che veniva usato già nell’età del bronzo per creare le sculture. Questo procedimento venne ampiamente utilizzato in epoca greca e romana, per poi venire accantonato nel Medioevo, epoca in cui sopravvisse solamente nei paesi che facevano parte dell’Impero Bizantino: durante il Rinascimento la fusione a cera persa tornò ad essere utilizzata e così è arrivata fino ai giorni nostri. L’oro ottenuto dopo i vari procedimenti di fusione ed affinazione viene nuovamente fuso e poi colato in specifici stampi normalmente fatti di argilla, che vengono precedentemente messi in forma grazie alla cera. Questa poi viene automaticamente eliminata quando entra in contatto con l’oro fuso. Ecco spiegato il termine cera persa. Basata sempre sulla tecnica della cera persa è la tecnica della microfusione, con la quale è possibile ottenere oggetti preziosi di alta qualità. La microfusione consiste nel creare precedentemente una riproduzione del gioiello in cera, a mano o per mezzo di macchine specifiche, a cui successivamente si applicano i canali di entrata e di uscita sempre in cera, per poi ottenere uno stampo di gesso. Lo stampo in gesso viene riscaldato in forno ad una temperatura di 250 gradi centigradi, per far sì che la cera fonda ed esca dai canali: quando la cera si è sciolta, lo stampo viene ancora riscaldato ad una temperatura di 700 gradi centigradi e successivamente vi viene colato dentro l’oro fuso. Per forgiare monili dalle rifiniture perfette si usa la tecnica della pressofusione, che come dice il nome stesso, si differenzia dalle altre tecniche perchè il metallo fuso invece di essere solamente colato viene anche pressato: la pressatura viene fatta per permettere una maggiore aderenza del metallo alle pareti dello stampo ed ottenere quindi finiture di alta qualità. Per la produzione di oggetti in serie vengono usati appositi stampi in ghisa o acciaio, chiamati conchiglie: questi vengono conservati ed usati svariate volte. 

A questo punto l’oro è pronto per la fase successiva, ovvero l’analisi della sua purezza: il metodo più usato per valutare la titolazione dell’oro, ovvero la sua purezza, si chiama metodo della coppellazione o saggio per coppellazione. Si tratta di un procedimento antichissimo, arrivato fino ai giorni nostri pressochè invariato: troviamo i primi riferimenti di questo metodo addirittura in Egitto nel 1360 a.C. Nonostante vi siano al giorno d’oggi metodi più moderni, come la spettrofotometria a fluorescenza o ai raggi x, il saggio per coppellazione è ancora considerato quello più attendibile e che richiede macchinari molto meno costosi.

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